The binding clause in the bond insurance policies: an interesting decision by the Court of Appeal of Naples on the implications of a procedural nature.

Le coperture assicurative corpi e property nel mercato italiano presentano una fattispecie che ricorre con particolare frequenza e che spesso determina contenziosi, come quella della polizza stipulata dal conduttore che abbia la disponibilità del bene per effetto di un contratto di leasing o dal proprietario dell'immobile acquistato con finanziamento/mutuo gravato da ipoteca.

In tal caso possono spesso verificarsi problemi nell'individuazione del soggetto assicurato e legittimato ad agire per il conseguimento dell'indennizzo, soprattutto in presenza di pattuizioni in base alle quali l'utilizzatore "a salvaguardia di ogni suo interesse, anche se in comune con il concedente, dovrà in proprio e a sue spese coltivare ogni opportuna iniziativa, anche in sede processuale, perché siano tempestivamente tutelati nei confronti di qualsiasi terzo ragioni e diritti aventi ad oggetto il bene".

Il problema viene generalmente risolto attraverso la pattuizione di una clausola o appendice "di vincolo", che attribuisce al finanziatore della somma utilizzata per l'acquisto del bene assicurato il diritto di soddisfarsi, nel caso di perdita del bene, sull'eventuale indennità dovuta dall'assicuratore1.

In tal caso, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, si crea un collegamento diretto tra il contratto di assicurazione ed il contratto di finanziamento, in forza del quale il finanziatore non assume la qualità di assicurato (giacché a suo favore non è stipulata la polizza), ma può pretendere di percepire l'indennizzo in luogo dell'utilizzatore-contraente assicurato.

Sono infatti numerose le decisioni che hanno ribadito che l'esistenza di un'appendice di vincolo in favore del finanziatore o creditore ipotecario non determina affatto due distinte situazioni contrattuali2, ma determina una legittimazione attiva esclusiva in capo all'istituto finanziatore,3 al punto che questo ha l'onere di attivarsi, nei confronti della compagnia assicuratrice, per ottenere l'indennizzo assicurativo che il conduttore non può chiedere direttamente.

La legittimazione in capo al conduttore o proprietario, ad agire per il conseguimento dell'indennizzo assicurativo, può poi configurarsi qualora lo stesso agisca in qualità di contraente di polizza, e si munisca ex art. 1891 secondo comma c.c. del consenso del finanziatore/concedente.

In tal caso, evidentemente, va valutata da parte dell'assicuratore l'effettiva esistenza di tale consenso, accertando in particolare se esso abbia la natura e la forma richiesta dalla legge, in quanto il versamento dell'indennizzo in favore del contraente, in mancanza di un effettivo consenso dell'assicurato, espone al rischio che quest'ultimo chieda la liquidazione del danno esercitando un diritto mai abbandonato o ceduto.

Sul punto merita attenzione una recentissima sentenza della Corte d'Appello di Napoli (n. 3544/2014 depositata in data 8 agosto 2014) con particolare riguardo alle implicazioni e alle conseguenze di natura processuale che le indicate clausole comportano.

Il contesto processuale affermatosi in primo grado era quello di un'azione risarcitoria promossa dall'utilizzatore/conduttore di un'imbarcazione (acquistata in leasing con un primario istituito di credito) nei confronti della compagnia assicurativa, per l'ottenimento dell'indennizzo assicurativo pari al valore dell'imbarcazione oggetto di furto.

La compagnia assicurativa aveva eccepito la carenza di legittimazione attiva del conduttore assicurato, ritenendo sussistente la stessa unicamente in capo al soggetto vincolatario, che alcun consenso aveva espresso (rectius: risultava aver espresso) sul pagamento diretto all'utilizzatore del bene.

Solo nel corso dell'ultima udienza del giudizio (quindi oltre i termini di rito previsti per l'articolazione delle istanze istruttorie) si è registrato l'intervento in causa dell'istituto di credito finanziatore e vincolatario di polizza, che ha confermato la propria adesione/consenso al versamento dell'indennizzo assicurativo all'utilizzatore del bene.

Il Tribunale partenopeo ha in primis qualificato (dato processuale di non poco conto) come "eccezione rilevabile d'ufficio" in ogni fase e grado del procedimento quella relativa alla legittimazione attiva del conduttore dell'imbarcazione in relazione alla domanda azionata nei confronti della compagnia: "deve ritenersi che l'accertamento circa la titolarità, in capo al mero conduttore di un bene in leasing, della facoltà di esercitare la presente azione di risarcimento, costituisce un accertamento suscettibile di essere effettuato anche d'ufficio".

In secondo luogo (determinazione decisiva ai fini della lite), il Giudice ha rilevato che la presenza agli atti di una clausola di vincolo in favore dell'istituto concedente "lascia chiaramente intendere che il conduttore non sia legittimato, per effetto della predetta clausola, all'esercizio dell'azione derivante dal rapporto assicurativo".

A nulla è valso il fatto che l'istituto concedente fosse intervenuto in giudizio a sostegno della domanda attorea, in quanto tale intervento (e la contestuale produzione documentale attestante il consenso prestato) si era attuato solo nell'ultima udienza del procedimento, quando ormai risultavano superati i termini di rito per le produzioni documentali. La decisione è stata pertanto assunta dal Giudice "allo stato degli atti, con riferimento ai soli documenti acquisiti al giudizio", determinando così la reiezione della domanda attore per carenza di legittimazione attiva.

La sentenza indicata è stata quindi impugnata innanzi alla Corte d'Appello di Napoli che, riformando quanto stabilito dal Giudice di primo grado, ha meglio chiarito la natura e l'estensione della clausola di vincolo suindicata, soffermandosi in particolare sulle conseguenze di natura procedurale e sui requisiti richiesti al consenso espresso dal vincolatario.

In primo luogo è stato confermato il difetto di legittimatio ad causam come questione rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni fase e grado del procedimento, attenendo alla verifica della regolarità processuale del contraddittorio secondo la stessa prospettazione offerta dall'attore, essendo peraltro chiaro il contenuto della clausola di vincolo nelle produzioni di polizza.

La novità interessante – che ha portato alla riforma della sentenza di primo grado, piuttosto intransigente sul punto – è quella relativa al superamento del termini processuali in senso stretto e ai requisiti (oltre che alle caratteristiche) che il consenso dell'assicurato deve possedere ai sensi dell'art. 1891 c.c.

Rileva la Corte che "il primo giudice ha fermato la propria attenzione sul dato processuale, vale a dire il momento in cui quell'intervento era avvenuto (l'udienza di precisazione delle conclusioni) e sulle connesse preclusioni istruttorie; ma così facendo, ad avviso di questa Corte, ha omesso di considerare il dato sostanziale rappresentato dal consenso espresso manifestato dall'assicurato a che il contraente esercitasse i diritti scaturenti dall'assicurazione ai sensi dell'art. 1891 secondo comma c.c.".

Prosegue ancora la decisione, precisando che "il consenso richiesto dalla norma in questione non esige una formale procura diretta a conferire la rappresentanza processuale, ma implica solo che l'assicurato abbia espresso il proprio consenso anche implicitamente, purchè in modo idoneo a rivelare univocamente la volontà del soggetto".

Non solo, viene altresì specificato che tale consenso non deve necessariamente essere indirizzato all'assicuratore e che pertanto "nulla impedisce che la stessa manifestazione del consenso sia ravvisabile anche in una dichiarazione resa al contraente della polizza, il quale risulterebbe conseguentemente legittimato, in base a tale presupposto ad esercitare i predetti diritti derivanti dal contratto".

In altre parole, e come emerge chiaramente dalle motivazioni, la Corte ha dato rilievo assorbente al dato sostanziale che il consenso della vincolataria era comunque intervenuto prima della decisione, seppur oltre il termine per le preclusioni istruttorie, non ritenendo necessari a configurare tale consenso né formalità particolari,  né che lo stesso fosse documentato al momento della proposizione della domanda.

Sul punto specifico la decisione è priva di richiami giurisprudenziali, ma rappresenta comunque un pronunciamento rilevante sia in relazione alla mancanza di forma alcuna richiesta al consenso di cui all'art. 1891 c.c., sia per quanto riguarda il superamento dei barrages procedurali per la prova di tale consenso.

Sul primo aspetto, la tesi sostenuta dalla Corte, che si spinge sino a rilevare sia sufficiente un consenso espresso implicitamente ("il consenso richiesto dalla norma in questione...implica solo che l'assicurato abbia espresso il proprio consenso anche implicitamente") appare obiettivamente eccessiva, e si pone peraltro in contrasto con quanto ribadito dalla Suprema Corte in diverse circostanze. Si veda sul punto, Cass. 16/04/2007, n. 9053 R.C. c. AUSL Cesena secondo cui "In tema di assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta,  l'art. 1891, comma secondo, cod. civ., nel prescrivere che ai fini dell'esercizio dei diritti derivanti da detto contratto da parte del contraente è richiesto che l'assicurato abbia espresso in proposito il proprio consenso, implica che tale consenso non può essere validamente manifestato attraverso un comportamento che si attui secondo modalità diverse da una dichiarazione esplicita"4.

Si aggiunga che la stessa valutazione del consenso "implicitamente espresso" potrebbe determinare non pochi problemi interpretativi, in particolare per le compagnie assicurative chiamate a liquidare l'avente diritto, che esigono un consenso chiaro ed esplicito - e ad essi indirizzato - al pagamento ad un soggetto diverso.

Per quanto invece riguarda la prova di tale consenso nel corso del procedimento e il superamento dei limiti temporali per le preclusioni istruttorie, la pronuncia sembra supportare un orientamento sempre più consolidato nella giurisprudenza di merito e di legittimità, secondo cui la legitimatio ad causam attenendo non ai presupposti del processo ma alle condizioni dell'azione, è sufficiente che sussista al momento della decisione.

In definitiva, in tutti i contenziosi in essere in cui si contesti (spesso per effetto di eccezioni specifiche espresse sul punto dalle compagnie resistenti) la legittimazione del soggetto agente per effetto di clausole di vincolo presenti in polizza, un eventuale intervento in causa del soggetto vincolatario (o comunque legittimato ai sensi di polizza), adesivo rispetto alla domanda formulata dal contraente, purché effettuato prima della pronuncia della decisione, avrebbe l'effetto di escluderebbe ogni rischio di reiezione della domanda perché proposta da un soggetto non legittimato, "correggendo il tiro" rispetto ad una richiesta originariamente azionata senza i necessari requisiti.

Footnotes

1 Le formule utilizzate nella prassi possono essere varie, partendo dalle clausole più semplici che attribuiscono una sorta di "diritto di veto" al beneficiario della pattuizione, sino a quelle più articolate che impongono il pagamento in favore del vincolatario. Sulla varietà di clausole si veda: Trib. Roma 18.09.1995 in Riv. Circ. e Trasp., 1995, 778

2 Trib. Trieste, 16.12.2013 con nota di Tereza Pertot in Nuova giurisprudenza civile commentata

3 Appello Milano, 27 febbraio 2001, Mercantile leasing c. Fin One, in Nuova giur. civ., 2001, I, pag. 604, n. CHINDEMI.

4 Sulla stessa linea Cassazione 7 dicembre 1995, n. 12593 secondo cui è sufficiente che tale consenso sia univocamente manifestato: «ciò, se esclude sia sufficiente un consenso implicito o solo presupposto, non si traduce, comunque, nella necessità che esso sia incorporato in una dichiarazione che lo specifichi formalmente, potendo risultare che da comportamenti ulteriori e diversi che lo esplicitino, attestandone direttamente l'esistenza ancorché senza l'impiego di formule sacramentali

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