The "Claims Made" clause in professional liability and the unfair nature of the limitations recently indicated by the Supreme Court

Nel mercato assicurativo italiano relativo al settore della responsabilità civile professionale, hanno avuto una grande diffusione le polizze all risk di modello anglosassone, con le proprie particolari clausole e la relativa terminologia.

Una delle clausole più diffuse in tali polizze è la c.d. claims made o "a richiesta fatta", secondo la quale l'assicuratore assume l'obbligo di manleva per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'assicurato nel corso del periodo di assicurazione, a prescindere dal momento in cui è stato commesso il fatto che ha dato origine al sinistro.

Pertanto l'assicuratore è tenuto, fino a quando è efficace il contratto di assicurazione, a manlevare l'assicurato da tutte le richieste di danno ricevute, siano esse riferiti a sinistri occorsi nel periodo di efficacia dell'assicurazione, siano i sinistri insorti in precedenza senza essere formalizzati nei confronti dell'assicurato (c.d. latenti).

Si tratta in altre parole di una clausola che realizza una deroga rispetto allo schema tipico di cui all'art. 1917 c.c.  secondo cui l'assicuratore si obbliga a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare ad un terzo.

Nell'assicurazione della responsabilità civile dei professionisti, lo schema tipico suindicato è stato quindi sostituito dalla clausola claims made, divenuta ormai prassi costante di ogni contratto di assicurazione.

Con tale disposizione, dunque, alla cessazione del contratto l'assicuratore è in grado di conoscere esattamente i sinistri per i quali sarà chiamato a rispondere, escludendo tutti i sinistri che, ancorché verificati durante la vigenza del contratto, non sono stati denunciati sino a quel momento.

Al sistema claims made puro, viene spesso preferita dalla prassi assicurativa la clausola claims made mista, in base alla quale sono comunque garantiti i sinistri denunciati in vigenza dell'assicurazione ed anche se si siano verificati in epoca antecedente, ma con un limite temporale ben preciso, spesso individuato in tre o cinque anni prima. Anche in questo caso, resta comunque fermo il principio che la garanzia opera a condizione che i sinistri siano denunciati all'assicurato in vigenza del contratto di assicurazione.

L'atteggiamento della giurisprudenza italiana rispetto alle suindicate clausole claims made, ha visto una iniziale diffidenza soprattutto delle Corti di merito che ne hanno spesso ritenuto la nullità1 . A più riprese, invece, negli ultimi anni la Suprema Corte è intervenuta per riconoscere la legittimità e l'astratta validità della clausola, pur rimettendo al Giudice la valutazione specifica del singolo caso e del singolo contratto.

Una recente conferma interessante della Suprema Corte risale al febbraio scorso, con la sentenza n. 2872 della III Sezione Civile2, secondo cui: " La clausola claims made contenuta in un contratto di assicurazione per la responsabilità civile  - in virtù della quale l'assicuratore assume la garanzia solo per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta nel corso del periodo di assicurazione – non pone limitazioni di responsabilità in astratto, ma definisce l'oggetto della copertura assicurativa, stabilendo quali siano i sinistri indennizzabili. Il contratto, che non rientra nella fattispecie tipica prevista dall'art. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico, è pertanto valido ed efficace, mentre spetta al giudice stabilire, caso per caso, se quella clausola abbia natura vessatoria ai sensi dell'art. 1341 c.c."

Il merito della pronuncia suindicata è quello di aver riaffermato (come fatto in altre occasioni dalla Suprema Corte) sia l'astratta validità della clausola claims made, sia la sua riconducibilità all'oggetto della copertura. Quest'ultimo aspetto – a rigore – avrebbe dovuto sottrarre la clausola stessa al giudizio di vessatorietà in relazione alla limitazione di responsabilità, trattandosi per l'appunto di una mera individuazione e/o delimitazione del rischio assicurato.

Nella pronuncia indicata, quindi, il riferimento alla vessatorietà resta piuttosto generico, frutto con ogni probabilità di un mero richiamo a precedenti massime, anche perché non chiarisce a quali aspetti debba riferirsi l'indicata vessatorietà e non sono forniti elementi per indirizzarne l'interpretazione.

Solo recentemente, la stessa Terza Sezione della Cassazione, con la sentenza n. 22891 del 10 novembre 2015, ha approfondito, distinto e meglio specificato gli ambiti di potenziale vessatorietà.

Stando infatti all'interpretazione della Suprema Corte, "va distinta la vessatorietà in astratto di una clausola claims made, che non può ritenersi sussistente per la mera contrarietà alla disciplina di cui all'art. 1917 c.c., da quella in concreto, che è compito, invece, del giudice di merito valutare caso per caso anche mediante un'interpretazione sistematica della varie clausole contrattuali".

In altre parole - sottolineano i Giudici - se il contratto assicurativo prevede la clausola claims made nella parte dedicata alla definizione in maniera esclusiva dell'oggetto di copertura, allora la relativa delimitazione di responsabilità non implica alcun carattere vessatorio. Per converso assume carattere vessatorio, la clausola esterna alla definizione del contratto e che finisce per delimitare dall' "esterno" un perimetro che risulta più ampio stando alle previsioni dell'oggetto della copertura.

La vessatorietà in questo caso emerge secondo i Supremi Giudici "perchè la formale previsione della clausola dopo altra idonea a definire in modo più ampio la garanzia, l'oggetto del contratto assicurativo, non appartiene più nell'economia del contratto all'individuazione dell'oggetto del contratto, ma svolge, dopo una previsione a ciò diretta, una funzione chiarificatrice ulteriore che assume carattere limitativo di ciò che nella precedente previsione era più ampio".

La vicenda di merito che ha portato alla pronuncia suindicata riguardava una richiesta di risarcimento per "colpa medica" rispetto alla quale la compagnia assicurativa aveva eccepito la clausola claims made, rilevando che la richiesta di indennizzo era pervenuta fuori dal periodo di copertura.

La Suprema Corte ha quindi esaminato la polizza redatta su formulario, ritenendo la collocazione della clausola claims made fuori dall'ambito delle previsioni relative all'oggetto della copertura, giungendo – attraverso un'interpretazione sistematica della varie clausole contrattuali – al suindicato giudizio di vessatorietà.

In attesa che le Sezioni Unite possano aggiungere ulteriori e - si spera – definitivi rilievi, la valutazione dell'esatta collocazione della clausola claims made e l'interpretazione sistematica di tutte le previsioni di polizza, restano elementi fondamentali nell'accertamento della validità della clausola.

Footnotes

1. Si veda, a titolo esemplificativo: Trib. Genova, sentenza del 8 aprile 2008 in Danno e resp. 2009, 113: " L'art. 1917 c.c.  è norma inderogabile rappresentando l'essenza stessa del contratto di assicurazione e cioè il trasferimento del rischio derivante dall'esercizio di una attività professionale esercitata. Pertanto, nel contratto di assicurazione R.C. la clausola contrattuale "claims made", che sottopone l'operatività della garanzia al momento in cui perviene la richiesta risarcitoria del danneggiato, dà origine ad un contratto atipico nullo sia perché contrario all'imperativa norma primaria di cui  all'art. 1917 c.c., sia perché rende il contratto privo di causa e cioè privo del trasferimento del rischio dall'assicurato all'assicuratore. È, tuttavia, ben possibile sostituire alla medesima la disciplina legale secondo il disposto  dell'art. 1419, comma 2, c.c.."

2. Cass. Civ. Sez III 13/02/2015 n. 2872, in Corriere Giur, 2015, 8-9, 1057 nota di Magni.

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